Superare l’idea che assistere altri/e sia un “compito femminile” è fondamentale, non solo per la parità di genere, ma anche per il benessere delle famiglie, dei/delle lavoratori/trici e dell’intera comunità. Ridistribuire equamente il lavoro di cura non è un gesto di gentilezza, ma una necessità sociale.
In Italia, le donne hanno raggiunto livelli educativi più alti rispetto agli uomini: il 68% ha almeno un diploma (62,9% gli uomini) e il 24,9% possiede una laurea (18,3% gli uomini). Nonostante ciò, il tasso di occupazione femminile rimane più basso, attestandosi al 59% contro il 79,3% degli uomini (Istat).
Questa disparità riflette un conflitto strutturale: molte donne devono conciliare il desiderio di realizzazione professionale con il lavoro di cura, tradizionalmente attribuito al loro genere, con ripercussioni sulla carriera, sulla salute psicologica e sulle opportunità di vita.
La doppia presenza: lavoro e cura
Il concetto di “doppia presenza”, introdotto dalla sociologa italiana Laura Balbo, descrive la realtà di chi deve essere presente contemporaneamente sul lavoro e nella gestione della famiglia e della casa. Questa condizione, per molte donne, è una realtà strutturale e non occasionale.
Essere presenti in due mondi comporta pianificazione, anticipazione, monitoraggio e gestione delle esigenze familiari, oltre alle responsabilità professionali. Anche con l’accesso all’istruzione o a opportunità lavorative, se il lavoro di cura resta invisibile e non riconosciuto, la realizzazione professionale delle donne continua a essere limitata.
Questa condizione genera spesso senso di colpa, ansia e frustrazione, poiché le aspettative interne — essere madri attente o professioniste eccellenti — si scontrano con quelle esterne, plasmate dagli stereotipi culturali. Riconoscere e ridistribuire equamente il lavoro di cura diventa dunque essenziale per una condizione di benessere psicologico e sociale.
Distribuzione del lavoro di cura e impatto sul lavoro
Secondo Eurostat, le donne dedicano in media il doppio del tempo rispetto agli uomini (5 ore al giorno contro le 2 al giorno degli uomini) al lavoro non retribuito, comprendente cura della casa e assistenza a familiari.
Questa disparità ha conseguenze concrete sul piano professionale:
- Lavoro part-time per conciliare gli impegni familiari, con limitazioni alle possibilità di carriera;
- Rinuncia a incarichi complessi o promozioni, percepiti come incompatibili con le responsabilità domestiche;
- Abbandono della forza lavoro, nei periodi di maggiore intensità del lavoro di cura.
Questi dati evidenziano come il lavoro di cura non retribuito rappresenti un fattore strutturale di disuguaglianza, limitando la piena partecipazione delle donne al mondo del lavoro e alla realizzazione personale.
Il carico mentale invisibile e le conseguenze psicologiche
Oltre all’impegno pratico, molte donne affrontano un carico mentale costante, costituito da preoccupazioni, pianificazione e coordinamento delle attività familiari. Questo sforzo invisibile genera stanchezza emotiva, riduzione della concentrazione e difficoltà a staccare dagli impegni.
Le conseguenze psicologiche sono significative: aumento del rischio di burnout, ansia e disturbi dell’umore, indebolimento dell’autostima e sensazione di isolamento o incomprensione (fonte: unobravo.com).
Interventi concreti — come il supporto familiare, la condivisione dei compiti e l’accesso a servizi di assistenza — possono alleggerire il peso emotivo, permettendo equilibrio, energia e soddisfazione personale, favorendo una partecipazione più serena alla vita professionale e familiare.
Il ruolo del welfare aziendale nel supporto ai/alle caregiver
Le aziende hanno un ruolo strategico nel sostenere chi si prende cura dei familiari. Il welfare aziendale offre strumenti concreti per conciliare carriera e responsabilità familiari, migliorando il benessere dei/delle dipendenti e la produttività complessiva.
Tra le soluzioni più efficaci:
- Orari flessibili e telelavoro, che consentono di modulare la giornata lavorativa secondo le esigenze familiari;
- Congedi retribuiti o permessi dedicati per la cura di figli/e, anziani/e, o persone con disabilità, equamente accessibili a uomini e donne;
- Servizi di assistenza esterna, come convenzioni con centri diurni, baby-sitter o supporto per anziani/e;
- Programmi di supporto psicologico e coaching, per gestire il carico emotivo e migliorare il benessere mentale.
Investire nel welfare aziendale significa valorizzare il capitale umano, promuovere la parità di genere e creare un ambiente lavorativo inclusivo, sostenibile e motivante.
Verso un modello di Caring Company
Le organizzazioni che investono in politiche di People Care e in un welfare integrato dimostrano come sia possibile conciliare esigenze lavorative e familiari. Tra le iniziative chiave:
- Coinvolgimento dei dipendenti in progetti comuni, aumentando motivazione e performance;
- Valori e cultura aziendale condivisi, con attenzione a sostenibilità e inclusione;
- Comunicazione costante, basata su trasparenza e dialogo tra azienda e dipendenti.
Modelli di welfare che valorizzano la diversità, il benessere psicofisico e un clima positivo contribuiscono a ridurre il turnover, attrarre talenti e creare un ambiente di lavoro equilibrato, in cui cura e carriera possano convivere armoniosamente.
Conclusione
Il lavoro di cura non è un compito esclusivamente femminile: è una responsabilità condivisa da tutta la società. Superare gli stereotipi di genere e ridistribuire equamente le responsabilità di cura significa promuovere parità, benessere psicologico, realizzazione professionale e equilibrio familiare.
Investire in politiche di supporto, cultura inclusiva e consapevolezza personale permette di costruire una società in cui cura e carriera possano convivere senza sacrificare potenziale e dignità, trasformando il lavoro di cura da impegno invisibile a valore riconosciuto e condiviso.